Andrea Veronica Sanchez | Comunicazione Veterinaria e Practice Management
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Andrea Sanchez è consulente aziendale in ambito veterinario con un focus sulla comunicazione.
Ha pubblicato in Francia il libro “Communiquons!” (edizioni Le Point Vétérinaire), che esplora i diversi aspetti della comunicazione interpersonale veterinaria, e collabora regolarmente con lo stesso editore pubblicando articoli sul practice management.
È formatrice e autrice di diversi corsi e workshop. In Italia, è partner del progetto “Competenze Comunicative per la Clinica Veterinaria”, uno strumento indispensabile per migliorare la propria comunicazione durante la visita veterinaria.
Quali sono stati i cambiamenti più rilevanti nel campo comunicativo e organizzativo dell’ultimo decennio nel settore veterinario?
I cambiamenti sono stati numerosi, profondi e sicuramente sono destinati a proseguire sempre a un ritmo più veloce, come del resto avviene in tutti gli altri settori… In maggior o in minor misura, le strutture veterinarie hanno dovuto dotarsi di tecnologia, non solo clinica ma anche gestionale ed informatica; hanno anche dovuto adottare il marketing e rendersi visibili sul mercato attraverso i siti web e i social network. Il livello di esigenza dei clienti è aumentato e questo ha reso necessaria la formazione del veterinario e del suo staff su argomenti fuori dall’ambito prettamente clinico, come la comunicazione…Ci sarebbe ancora tanto da dire, ma per sintetizzare, direi che le strutture veterinarie sono diventate molto più di un posto dove si curano gli animali.
Infine, non possiamo non menzionare la consolidazione del mercato con l’arrivo dei gruppi di investimento che hanno modificato profondamente il panorama e le dinamiche dell’ecosistema veterinario.
Nell’ottica della necessità del veterinario di doversi, al giorno d’oggi, trasformarsi in un vero e proprio imprenditore, quali sono le nuove figure e competenze che sono diventate fondamentali nel processo gestionale di una struttura veterinaria?
Sì, questo è un altro cambiamento importante. Riprendendo l’idea che ho appena menzionato: la struttura veterinaria è oggi molto più di un posto dove si curano gli animali; è anche diventata un’impresa e come tale richiede una certa attenzione dal punto di vista gestionale. Parallelamente, il suo staff è diventato multidisciplinare. Si è consolidata la figura del tecnico veterinario e sono anche nati nuovi ruoli, come il front office manager o il practice manager, figure che possono provenire anche dal mondo non veterinario. In questo contesto, alcuni proprietari di struttura che già ricoprivano un ruolo misto (clinico e di gestione), hanno deciso di dedicarsi soltanto all’aspetto manageriale. Non a caso vediamo tante proposte di formazione per fornire ai veterinari le competenze necessarie alla gestione, visto che la loro formazione accademica veterinaria non comprendeva questi argomenti.
Che rischi si corrono se non ci si aggiorna?
L’aggiornamento costante è una necessità in tutte le professioni, e i veterinari non fanno eccezione. Aggiornarsi su queste nuove competenze è tanto importante quanto aggiornarsi sugli aspetti clinici: entrambi sono cruciali per il sostentamento e per il successo della propria struttura.
Senza diventare un esperto in finanza o in risorse umane, il titolare di una clinica o di un ambulatorio veterinario deve essere in grado di capire come sta andando la sua attività, oppure di individuare delle problematiche che richiedono delle misure correttive. Poi potrà implementare queste misure autonomamente, o con l’aiuto di qualcuno dello staff oppure di un consulente esterno esperto nell’ambito specifico che richiede l’intervento.
Un altro aspetto importante da includere in agenda sono le soft skills, o competenze trasversali. Ultimamente se ne parla tanto e possono sembrare un fenomeno di moda, ma sono essenziali per la crescita professionale e personale. Una delle soft skills fondamentali è la comunicazione, l’ambito in cui lavoro. Questa competenza interviene in tante situazioni della vita quotidiana del veterinario, come ad esempio la gestione del rapporto con i clienti e con i collaboratori, la risoluzione di conflitti, la capacità di negoziazione. Si tratta di una competenza primaria da cui derivano molte delle altre. Se queste competenze vengono a mancare, si rischia di fornire un servizio di qualità inferiore, con la conseguente insoddisfazione dei clienti. Questo ovviamente ha un impatto diretto sulla competitività e sulla reputazione della struttura, che può comportare la perdita di clienti e la diminuzione del fatturato. In aggiunta, si rischia di creare un ambiente di lavoro tossico, non produttivo, con il conseguente aumento dello stress e dei conflitti.
Stai lavorando a un progetto che affronterà il tema della gestione degli errori; la differenza tra un approccio giusto e uno sbagliato non sta tanto nel commettere o meno degli sbagli, ma nel modo in cui ci alleniamo a reagire al fallimento? Che puoi dirci su questo tema?
Si tratta di un argomento relativamente nuovo in ambito veterinario, ma che comincia a suscitare molto interesse. Deriva dalla medicina umana, che a sua volta l’ha preso dal mondo dell’aviazione civile, ma è un concetto largamente applicato anche in ambito industriale. Qui vediamo, ancora una volta, quello che menzionavo all’inizio: il mondo veterinario non è un mondo a sé ma ha sempre più spesso dei punti di contatto con altre discipline.
Il concetto chiave nella gestione degli errori è il fattore umano: i processi mentali sono soggetti a errori perché l’uomo è intrinsecamente fallibile. La buona notizia è che questi errori possono essere prevenuti, in molti modi, ad esempio tramite protocolli (le famose checklist), che riguardano aspetti ambientali o procedurali, ad esempio, come gestire un paziente che arriva in clinica in determinate condizioni.
Il mio contributo al progetto riguarda l’impatto della comunicazione nella gestione degli errori da un punto di vista della prevenzione, ma anche come gestire la comunicazione con il cliente quando un errore si è verificato. In medicina umana, è stato calcolato che la percentuale di errori dovuti a problemi di comunicazione raggiungeva il 75%! Questi problemi riguardano la comunicazione tra i membri del team oppure tra il medico e il paziente: frammentazione delle informazioni, assunzioni, perfino le domande che vengono poste al cliente durante l’anamnesi. Quindi, è importante formarsi per ridurre le probabilità di errore, ma è anche necessario essere preparato per comunicare con il cliente quando l’errore si è verificato, soprattutto se le conseguenze di quell’errore sono nefaste. Si tratta di gestire una vera crisi ed è doveroso essere preparati.
Quali sono gli errori più evidenti che hai visto commettere nel campo comunicativo e gestionale nella veterinaria e in generale in altri campi?
In generale direi che l’improvvisazione non è mai una buona soluzione. In ambito gestionale può essere catastrofica, in ambito comunicativo…. anche! Soprattutto quando uno deve trasmettere un messaggio che sarà difficile da digerire da parte dell’interlocutore.
Menzionerei anche il lasciar andare le cose, sperando che si risolvano da sole… Evitare le “conversazioni difficili” (ma necessarie) con il team. E infine, l’errore più comune: non chiedere aiuto quando è necessario!
A livello comunicativo, quali sono le competenze che assolutamente non possono mancare a un professionista? E nello specifico a un veterinario?
Un aspetto che dobbiamo sempre tener presente è che comunicare equivale a entrare in relazione. Senza comunicazione non c’è rapporto. Ma non basta comunicare, bisogna farlo bene!
Io citerei in primo luogo la capacità di ascolto. È ampiamente dimostrato che i veterinari hanno tendenza ad interrompere i clienti dopo solo qualche secondo di interazione all’inizio della visita. Un’altra competenza che nella mia esperienza viene sottovalutata è la capacità di porre domande. E infine – ma non meno importante – l’empatia, che è poi l’aspetto sul quale i clienti giudicano il veterinario, molto di più che sulle competenze tecniche.
Come possiamo sviluppare queste competenze?
Le risorse non mancano, anzi. Le opzioni di formazione su questi argomenti si sono moltiplicate, con il vantaggio che adesso molte vengono proposte on line, quindi sono facilmente fruibili.
La letteratura in materia è molto ricca e cominciano anche a vedersi dei podcast specifici per i veterinari; ma tutte le conoscenze che possiamo acquisire non serviranno a granché se non le mettiamo in pratica con il team. Io lavoro molto con i miei clienti su questi aspetti, simulando situazioni di comunicazione e trovando delle strategie per gestirle al meglio. E’ molto utile e anche divertente!
Un ultimo consiglio che mi permetto di dare, sempre in linea con l’idea di interdisciplinarità, è di non concentrarsi soltanto su formazioni specifiche per l’ambito veterinario. Perché non frequentare anche conferenze o fare network con esperti in medicina umana, dentisti, o altre professioni? Recentemente, in una conferenza per veterinari in Francia gli oratori provenivano dal mondo dello sport, della filosofia, dell’aeronautica, del management aziendale… e ogni intervento ha dato degli spunti interessanti e applicabili al mondo veterinario.
“Tecniche di vendita”… molto spesso si storce il naso se accostiamo parole legate al marketing o alla vendita al mondo della veterinaria o in generale a quello della health care. È così anche nelle altre parti del mondo? Qui in Italia è molto radicata ancora l’idea che veterinari e dottori debbano in qualche modo lavorare per “amore” e non per essere retribuiti il giusto.
Effettivamente la percezione che il veterinario deve svolgere la sua professione solo per amore degli animali è purtroppo abbastanza radicata, anche fuori dall’Italia. D’altra parte, parlare di denaro mette a disagio i veterinari, perché non hanno una formazione sull’argomento. Le cose stanno cambiando lentamente ma resta ancora molto da fare.
Ci sono due buone notizie: una è che i veterinari stessi hanno il potere di cambiare le cose, e uno dei modi per farlo è comunicando meglio. Per me vendere equivale a fornire tutte le informazioni necessarie per facilitare le decisioni al cliente, e poi accompagnarlo ed offrirgli supporto nella sua scelta. Questo principio l’ho seguito sempre, anche quando lavoravo come account manager in ambito tecnologico, e penso che vada a pennello applicato al mondo veterinario.
Non ho mai abbracciato l’idea del commerciale “aggressivo” per avere risultati, ma ho privilegiato la costruzione di una relazione con il cliente, che poi è quello che faciliterà la decisione di acquisto.
Nonostante la professione sia fortemente regolata in tutto quello che riguarda l’approccio commerciale, conoscere delle nozioni di neuromarketing, certe tecniche di vendita e di comunicazione persuasiva può solo giovare, a patto che non si perda mai di vista il contesto e il cliente che abbiamo davanti.
Una seconda notizia incoraggiante per i veterinari l’ho appena sentita da uno dei guru della gestione veterinaria, Pere Mercader, fondatore di Veterinary Management Studies: uno studio di Morgan Stanley del 2021 evidenziava che i proprietari di animali più giovani (quelli fino ai 34 anni) sono disposti a spendere di più per i loro pet rispetto alle generazioni più mature. Non solo: sono anche pronti a indebitarsi per pagare le cure dei loro animali, i cui bisogni considerano una priorità. Se si mantengono, queste tendenze dovrebbero in futuro contribuire sempre di più ad alleggerire, se non azzerare, le discussioni a proposito del costo dei servizi veterinari. Staremo a vedere….
Stai partecipando anche a un’iniziativa spagnola, La Clinica Inteligente. Puoi riassumere in pochi concetti cosa intendete con questo concetto?
Sì, si tratta di un gruppo che abbiamo formato recentemente, ci stiamo ancora organizzando; è composto da veterinari, tecnici veterinari e altri professionisti che lavorano in ambito veterinario. L’idea è di creare uno spazio di condivisione di conoscenze e di iniziative, ognuno dalla propria esperienza e specialità, per proporre soluzioni che possano essere utili ad altri, in ambiti come la gestione, il marketing, l’intelligenza artificiale e tanti altri.
Ognuno degli integranti del gruppo ha una propria definizione di cosa vuol dire “una clinica intelligente”, ma devo dire che coincidiamo in alcuni concetti fondamentali: si tratta di una clinica tecnologica e allo stesso tempo umana, attenta al miglioramento continuo e al benessere della clientela e del proprio staff. Si propone anche come un’organizzazione che partecipa alla trasformazione del settore incentivando la collaborazione tra veterinari e donne e uomini che esercitano altre professioni.
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